Mercato San Benedetto
E' sabato mattina. Il mercato di San Benedetto, seduto comodo tra piazza Garibaldi e piazza Giovanni XXIII , è una istituzione per i cagliaritani. Come Piazza Carlo Felice, il bastione,
il poetto.
Ho lasciato alle mie spalle la campagna di Settimo San Pietro e sono andato in Città, passando nell'unico budello che ci congiunge al capoluogo: viale Marconi. Ho parcheggiato l'auto vicino al
teatro lirico, in via Santa Alenixedda. Non è stato molto facile trovare un parcheggio. Ho proseguito a piedi attraversando la strada trafficata, zig-zagando tra auto in doppia fila,
ambulanti e bancarelle e sono entrato nel mercato, fiera della confusione. Al piano terra formaggi, pani, frutta e verdura. Nel piano di sotto c'è il mercato del pesce. Venditori di triglie, orate
locali, anguille, gamberi, cozze di Olbia e qualche aragosta. Profumo di alghe, salsedine e di budella di pesce. Urlano e sbraitano tutti, sia clienti che commercianti. Da un banco di
legno dietro un secchio pieno di granchi spunta un omone con la barba incolta. E' alto e grosso, porta una berretta, un copricapo rossoblu assediato dalla forfora. Alle sue spalle attaccata al
muro una pagina sportiva di un giornale. Una squadra con la maglia bianca e una striscia diagonale bicolore rosso-blù, una foto ingiallita e sbiadita, con lo scudetto tricolore al petto.
Riconosco Nenè perchè è il più scuro ed Albertosi che ha la maglia diversa. Forse quello in alto a sinistra è Domenghini. Con i capelli impauriti. Gigi Riva è quello con le spalle grandi.
Il pescatore infila senza troppi complimenti il mignolo nel naso e con l'unghia allungata estrae una bestia.
Che sia un polpo? Le sue mani sono grandi come un tagliere. Attraversate da mille venature, un intreccio di rughe, ferite, smagliature che sfociano in cinque dita nervose. Ed in cima alle
unghie mangiate, un lutto perenne. Uno smalto nero di seppia e di interiora di merluzzo, sventrato artigianalmente con il dito indice che penetra il ventre del pesce dall’alto verso il basso e come
un coltello incide nelle profondità. Penetra fino a trovare il mazzame, lo acchiappa ad uncino e lo estrae portandolo alla luce.
Ma ora il pescatore per eliminare la scoria nasale piega il quinto dito e facendo leva con l'unghia del pollice tenta di lanciare la caccola oltre il bancone in mezzo alla gente. Ma non va.
Non demordere, riprova vecchio lupo di mare e sarai più fortunato! Il tuo animale è rimasto incollato al polpastrello del primo dito.
Allora tenta di cacciarlo violentemente con il dito attiguo ma il terribile escremento si incastra vigliaccamente nell'unghia dell'indice mimetizzandosi nella nera sporcizia. Si attacca e non molla.
Il pollice tenta nuovamente di sfrattarlo ma l'animaletto salta beato di dito in dito ed il ping pong continua senza interruzione. Non vi è via di uscita ed il pescatore ricorda con un sussurro le
parti intime di una sconosciuta zia.
- Lissa frisca!
Arriva un cliente.
- Cocciula, arritzonis, buconis, ostionis, prupus e cavurus!
Il pescatore sorride seccato e si libera finalmente del peso inutile scaricandolo su quel gattuccio di mare, quello buono per fare la burrida, con le noci, aglio, aceto e
prezzemolo. Farà peso.
Col passare del tempo San Benedetto è frequentato prevalentemente da clienti anziani. Tutto il quartiere è ormai un complesso geriatrico. Qui si vendono più pannoloni che pannolini. I dentisti
campano più con le protesi che otturando carie. I giovani si trasferiscono in periferia e pochi hanno la fortuna di ereditare dai nonni la casa nel quartiere. E anche quando la ereditano sono
costretti a venderla per via delle spese di ristrutturazione, il condominio e il gas di città.
Per le vie le bionde che si incrociano sono badanti ucraine e russe. Lavorano tutti i giorni: domenica e festivi compresi. Nei giorni di riposo, il giovedì sera e la domenica arrotondano facendo le
pulizie dai parenti degli anziani di cui sono al servizio. A volte sono subappaltate dai loro stessi datori di lavoro per uno sconto sulla tredicesima, ferie e liquidazione.
Uscito dal mercato, dal lato di via Pacinotti, ho attraversato la strada per fare colazione al bar Pirani.
Ricordo che una volta, sempre di sabato, sono entrato con mia moglie in quel bar pasticceria.
La mia lei, con occhio goloso, ha ordinato il solito marocchino e guardava avida un "pescone" a due piani che sbordava mezza lingua di crema attraverso le due labbra rosso campari. Avevo
bevuto velocemente il mio caffè tanto da osservare il padre con figlio che ordinavano la colazione. Mi sarei aspettato dal ragazzo un cappuccino con pasta o succo di frutta, o al massimo, pensando ad
un ragazzo anarchico, e pensavo a mio figlio, ad un ordinazione del tipo: pizzetta, latte e coca cola. Ed invece con mio stupore il giovane ha ordinato un succo al pomodoro. Il fatto che il
barman non avesse strabuzzato gli occhi mi ha fatto pensare che ero stato fuori dal mondo per venti anni. Avevo servito per quattro stagioni in un bar al mare e vi posso giurare che
non c’è stato nessuno che mi ha avesse ordinato un bicchiere di passato o di doppio concentrato.
O meglio solo un pomeriggio di fine estate entrò un signore che ordinò un succo al pomodoro suscitando perplessità e stupore tra i consumatori.
Il barman di Pirani ha versato in un bicchiere il succo e del limone, aggiungendo sale, tabasco, worchestershire souce. Il ragazzo lo ha bevuto come se fosse gazzosa. Ho pensato a mio figlio
che, sicuramente, avrebbe gradito quell’aperitivo.