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Zedda Rodriguez, l'uomo che sussurrava ai formaggi

Hiroito Mungoi nel suo lungo pellegrinaggio culinario aveva conosciuto cucinieri, chef, cambusieri, lavapiatti, cuochi di quarta, e  non solo.
Tra i suoi personaggi anche  macellai, pescatori, fruttivendoli, sensali, vinai, porcari e  pastori. 
E la sera d' estate seduti sotto a lolla ad ammirare la luna o di inverno davanti ad un camino lui raccontava. Sorseggiando un fresco vermentino o un corposo nepente,  Hiroito, raccontava mostrando abilità  nella parola quanto nel cucinare. Non si riteneva un cuoco ma un cuciniere. Quante storie quanti racconti ci ha tramandato Hiroito Mungoi.
Come la storia dell'uomo dal fiuto incredibile.
"Si chiamava  Zedda, il catalano. Rodriguez Zedda capitano di lungo corso e pirata informatico. Capelli biondo chiaro, quasi bianchi, lavati con la varechina. Dai sette agli undici peli ossigenati ed il naso dantesco in un corpo magro come un acciuga o meglio asciutto come il suo portafoglio. Era un Zedda con la zeta sarda. Nasale. Come la parola zerbino. Anche se i continentali lo chiamavano con la zeta in punta di lingua. Quasi un Tsedda.
Un po’ come la pronuncia del cognome Mascia. Per noi Mascìa, per lo stivale Màscia. Per non parlare dei termini  Maxi, Foxi, o Genneruxi. Pronunciati con la ics del totocalcio anzichè fare scivolare dolcemente la sgi, Masgia, Fosgi, Genenrusgi.
Rodriguez si era smarrito meteorologicamente da non distinguere più le stagioni. Potevi vederlo passeggiare con il giubbotto in pelle in pieno agosto, con sotto una camicia a maniche lunghe, senza che pagasse  una goccia di sudore. Oppure in maniche corte a dicembre. Rodriguez il nomade. Senza fissa dimora. Itinerante come i suoi pensieri. Ora matematico, ora fisico, genio. Doveva imbarcarsi in un mercantile in partenza per l’ america del sud, per la precisione in Patagonia.
Partì un giorno di settembre dal porto di Genova con una di quelle bagnarole vuoto a perdere, bastimento per  contrabbandieri e tratta di clandestini. Dopo sei mesi non si ebbero più  notizie.  Rodriguez miliardario a  Santiago, affogato in una burrasca nel mar di sotto, sposato con la figlia di un ricco mercante di stoffe sulla rotta caraibica.
Aveva frequentato l’università e Scientology e i suoi occhi lo dimostravano. Due palle fuori dal viso votate ad un indomito spirito di ricerca. Quando parlava doveva solamente parlare, come quando si sforzava di pensare. Oppure quando scriveva, doveva solo scrivere.  Riusciva a fare una una cosa alla volta, se contemporaneamente pensava  e scriveva, o se pensava e parlava,  qualcosa nel suo cervello si inceppava. Si stoppava a livello labiale. Un blocco temporaneo, impercettibile. In tempo reale avveniva una contrapposizione fra pensiero – parola,  per cui la parola che usciva era un fax del pensiero mentre la parola elaborata un istante prima si rintanava nel cervello. E siccome non poteva udire le sue parole,  pensava di aver detto quello che aveva deciso di dire. Per cui il risultato era che parlava come pensava e pensava come parlava.
Per questo motivo quando gli arrivò la chiamata per le americhe pensò subito che avrebbe mandato tutti a quel paese e quindi inconsciamente rispose mandando tutti a quel paese e la decisione di partire si infilò dentro il cervello, trovò una brandina, si sdraiò e da li non si mosse più.
Quando si dice che la destra non sa quello che fa la sinistra o viceversa. In questo caso la bocca è al posto del cervello ed il cervello al posto della bocca. Per cui quando pensava troppo si ritrovava con la  bocca piena.
L’unica dote che Rodriguez Zedda aveva era il suo fiuto, che sfruttava appieno per la sua grande passione ed unico amore: il formaggio.
Come era invidiato.
Era come quei ragazzi che con una chitarra suonavano le canzoni a richiesta, cantavano,  e le ragazze muovevano la testa con il groppo in gola e i lacrimoni.
Rodriguez riconosceva il formaggio ad occhi chiusi, aprendo le narici ed aspirando profondamente.
- Questo è Casizolu.
E proseguiva - Sento dentro di me vibrazioni di erba verde, sensazioni di bosco, di fogliame. Mi vengono alla mente le vacche allevate allo stato brado.
- Le vacche brune, le sardo modicane. Il latte grasso delle gravide ed il caglio dell'agnello, ...anzi questo è  di capretto.  Eppoi nelle mucose si sente la stagionatura.
- Si, sono certo.
Oppure sollevando il naso in aria come un segugio:  - questo è pecorino, dall'odore robusto.
-  Sembra l'odore dei calzini di lana di un maratoneta dopo aver attraversato il deserto sahariano in pieno luglio.
- Si sente l'acre odore marcio delle larve di moscerino, e la corposità dei vermi. E' casu marzu.  Ne sono certo. Si sente anche la sbavatura dell'olio di oliva, la stagionatura della pasta burrosa. Si sente il piccante penetrare negli orifizi con il suo marciume, la sua cremosità.
Per questo suo fiuto, prima delle avventure marine, venne catapultato dalla Sardegna alla Toscana.  E qui che Hiroito Mungoi incontrò Zedda Rodriguez.

Mauro Loi 

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Cucina per tutti

Qui potete trovare una cucina sana, genuina, legata al territorio.

 

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L’aceto e la peste
Nel Trecento la peste invade  l’Europa uccidendo un individuo su tre, e fino al 1700 non c’è anno in cui, non si accenda un focolaio di questo tipo di epidemia. Nella profilassi verso i primi del '700 si ripone fiducua nel rimedio attraverso l'aceto. Nel 1720, anno dell’ultima grande epidemia dell’Europa occidentale, gli abitanti di Marsiglia si difendono dall’aria che “genera febbri” tenendo in mano una spugna imbevuta d’aceto che viene inalata di continuo e, da parte dei medici, “attaccata al naso” senza respirare mai con la bocca e senza inghiottire saliva. Insieme ai  dottori segue  un infermiere che porta una bacinella  di aceto dove il medico ripetutamente immerge le mani prima di toccare  il malato.A mo' di acquasantiera. Poi, quando la peste rallenta, si fa  l'genizzazione dei locali pulendo con aceto i muri delle case infette.

Cantina

Cheyenne: Jane, ti posso chiedere una cosa? Perché hai fatto scrivere 'cuisine' all'ingresso della nostra cucina? Lo sappiamo benissimo che c'è la cucina, lì. 

il cuciniere

 

non conosco
la mia vita e le mie creazioni
tutto quello che mi è dato sapere
è che il mio passato mi viene dietro
come il cameriere attaccato
a fumanti piatti di portata
quanto alle mie creazioni
non è che ne sappia molto di più della loro fine
restano solo tegami da pulire
lana d'acciaio e sapone per piatti
d'altronde è quello che mi merito


 

 

 

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