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Mercato Sant'Elia

 

Mercato di Sant'Elia
La domenica mattina mi piace uscire presto di casa. Girare per le strade deserte di Cagliari, nel silenzio dei viali. Regina Margherita e Regina Elena. Noi abbiamo i viali reali e i Larghi da sire come Largo Carlo Felice. Che sensazione percorrere il molo del porto, lungo la via Roma e viale Colombo fino a Sant’Elia. Il mercato domenicale dove trovi di tutto anche su casu marzu.
Claudio è il compagno di mia cugina Anna. E’ un elbano di Portoferraio. Un ragazzone simpatico. Gli piace correre  in macchina. Fa l’autista e i  rally e ha due mani che sembrano taglieri, con le dita come salsicce di Irgoli. A settembre sono stati in Sardegna. Mi ha chiesto che vuole portare ai suoi amici sardi dell’Isola d’Elba il formaggio coi bachi, il formaggio con i vermi.  Ma su casu marzu, non si trova. E’ vietato.
Abbiamo chiesto ad un amico che al mercato di San Benedetto vende pecorino e che ha sempre qualche vasetto nascosto sotto il bancone. Ma niente.
Allora ho pensato al mercato di Sant’Elia.
Era la prima domenica di settembre e il papa Benedetto XVI recitava l’omelia dalla Basilica di Bonaria. Le strade erano blindate e colorate di bandierine bianco – gialle. Siamo scesi da Settimo e abbiamo parcheggiato all’ex lazzaretto. Abbiamo proseguito alla destra del molo mentre una leggera brezza increspava il mare. Non si sentiva nell’aria l’arrivo dell’autunno ma sembrava di essere ancora in piena estate, con un caldo appiccicoso ed un sole che sembrava un ritratto di fine luglio. Sant’Elia è un quartiere che si sdraia in un letto matrimoniale tra due comodini:  San Bartolomeo e Calamosca. Attorno alla chiesa piccole case che si affacciano sul mare in uno scenario fra i più belli di Cagliari. Il sole, i colori dell’acqua, l’aria fresca. Una bellezza naturale. Un gioiello. Rovinato alle spalle da una colata di cemento che ha sollevato un vespaio di palazzoni. Come una principessa rinchiusa nella torre del castello. Un grattacielo orizzontale che si estende come una cintura di castità. Un fossato che divide Cagliari da questo quartiere. Un pugno all’occhio.
Ci siamo avviati tra le strade di sant’Elia tra banconi di frutta e verdura, cassette di lissa,  polpi e seppie appoggiate sul marciapiede circondate da mosche nervose che già fiutavano la fine dell’estate e l’arrivo dei primi freddi. Due ceste con anguille e granchi che cercavano di raggiungere la riva e puntualmente venivano ripresi da una mano che spezzava sul nascere una eventuale evasione.
Pani di tutti i tipi civraxu, coccoi, semolati, carasau, frattau. E dolci, moscato e malvasia, olive verdi in salamoia. Pomodori secchi, funghi sott’olio, cardulìnu de pezza. Bottarga di muggine e  secchi di plastica pieni di cozze ed arselle.
Colori misti a profumi del mare.
Poi sulla destra tra una fila di bancarelle, un passo più indietro c’era parcheggiato un furgone bianco dalla carrozzeria in decomposizione. Più ruggine che bianco. Con il cofano aperto e una tavola imbandita davanti.
Con un telo di incerata trasparente. Sopra c’era di tutto, formaggi, insaccati, vasi di olive, barattoli di carciofi, bottiglie di olio. E proprio lì l’abbiamo visto. Posato all’interno di  una insalatiera, con quattro mosche che gli ronzavano intorno. Giallognolo con i forellini, cremoso e pastoso. Dietro all’improvvisato banco il venditore ambulante ha subito capito. Che scemo certamente non è.  Ci ha allungato due fette di pane, sicuro di quello che faceva.  Con un coltello ha sollevato una punta di casu marzu che ha spalmato in due tempi, esaltando l’emulsione del formaggio. Non ha aspettato oltre ed ha preso una bottiglia dietro di se. Una bottiglia di plastica da due litri, un poco accartocciata, svuotata dall’acqua  e piena di liquido viola come i paramenti vescovili che affiancavano il Santo Padre nella messa domenicale a trecento metri da lì.
Se fossero arrivati i nas in quel preciso istante avrebbero arrestato l’ambulante, sequestrato il furgone ed io e Claudio saremo stati denunciati a piede libero per favoreggiamento. Ed invece abbiamo continuato con due fette di salsiccia e di prosciutto di Desulo che erano la fine del mondo. Un altro bicchiere di cannonau e Claudio ha fatto la sua spesa.
Ho saputo poi che gli amici sardi di Portoferraio hanno gradito su casu marzu.

 

 

Mercato Sant'Elia - racconto di Mauro Loi
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Cucina per tutti

Qui potete trovare una cucina sana, genuina, legata al territorio.

 

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L’aceto e la peste
Nel Trecento la peste invade  l’Europa uccidendo un individuo su tre, e fino al 1700 non c’è anno in cui, non si accenda un focolaio di questo tipo di epidemia. Nella profilassi verso i primi del '700 si ripone fiducua nel rimedio attraverso l'aceto. Nel 1720, anno dell’ultima grande epidemia dell’Europa occidentale, gli abitanti di Marsiglia si difendono dall’aria che “genera febbri” tenendo in mano una spugna imbevuta d’aceto che viene inalata di continuo e, da parte dei medici, “attaccata al naso” senza respirare mai con la bocca e senza inghiottire saliva. Insieme ai  dottori segue  un infermiere che porta una bacinella  di aceto dove il medico ripetutamente immerge le mani prima di toccare  il malato.A mo' di acquasantiera. Poi, quando la peste rallenta, si fa  l'genizzazione dei locali pulendo con aceto i muri delle case infette.

Cantina

Cheyenne: Jane, ti posso chiedere una cosa? Perché hai fatto scrivere 'cuisine' all'ingresso della nostra cucina? Lo sappiamo benissimo che c'è la cucina, lì. 

il cuciniere

 

non conosco
la mia vita e le mie creazioni
tutto quello che mi è dato sapere
è che il mio passato mi viene dietro
come il cameriere attaccato
a fumanti piatti di portata
quanto alle mie creazioni
non è che ne sappia molto di più della loro fine
restano solo tegami da pulire
lana d'acciaio e sapone per piatti
d'altronde è quello che mi merito


 

 

 

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© Mauro Loi - Settimo San Pietro - Cagliari Sardegna