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il cuoco dei miracoli

Ciò che vi racconto non è una mia invenzione, e quella sera per giunta non avevo bevuto, ancora..

 L’ho visto con i miei occhi la vigilia di ferragosto alla trattoria Suloi a Settimo San Pietro.
Faceva molto caldo  e la sera aveva portato un fresco venticello dal nord. Ci siamo seduti fuori, sulla terrazza, con davanti a noi la Sella del Diavolo ed un mare in superficie con una leggera pelle d’oca. Hiroito Mungoi era un anziano cuoco indonesiano sposato con una signora di Maracalagonis e si era trasferito in Sardegna da tre anni.  Cucinava nel fine settimana e dava una mano a mantenere la vecchia trattoria affacciata nel Golfo di Cagliari. Non era un ristorante. Una via di mezzo tra una piola cagliaritana ed una osteria. Tovaglie a quadri, niente carta dei vini ma una scelta limitata ad un vermentino di Serdiana o un rosso di Dolianova. Sfusi in caraffa. Due primi a scelta, massimo tre secondi. Solo piatti di stagione che cambiavano di giorno in giorno  a seconda di cosa  portavano i pescatori di sant’Elia.
Una sola cosa potevi trovare. Sempre. In qualsiasi stagione. La sua famosa salsa calamosca.
 
Ad Hiroito Mungoi  gli potevi dare un muggine pescato nella Scaffa di Giorgino, vicino al porto canale di Cagliari.  Uno di quei pesci  grassi che hanno un serbatoio di nafta nel basso ventre, come una prostata gonfia, le cui carni sanno di catrame e se li strizzi pisciano olio combustibile . Di quelli che quando tenti di scartare le squame la lama del coltello scivola nella morchia e sbava gasolio. Di quelli che al posto delle uova hanno una bottarga di bitume nero antracite.
Bene. Il cuoco di Manila  acchiappa il muggine per la testa e fissa intensamente con lo sguardo gli occhi a mezzaluna del pesce benzina, cresciuto nei bassi fondali sabbiosi  all’ombra dei pilastri del  ponte.
Si chiama ipnosi culinaria una antica forma di terapia tardo- vedica  praticata dagli asceti nepalesi nel primo periodo ming, il nostro dodicesimo secolo per capirci, altrimenti ci incasiniamo in datazioni orientali e ci passa pure l’appetito.

 

Con l’ipnosi culinaria l’animale viene fatto regredire per le vite precedenti fino a raggiungere un epoca  prefissata. Ed ecco il nostro cefalo comune, non un verzoleto o un bosega,  reincarnarsi in una anguilla del mar dei sargassi. Una femmina adulta europea migrata dalle spiagge del Margine Rosso per riprodursi. Diciasette anni in piena maturità sessuale, le ganadi sviluppate, narici dilatate, occhi grandi, testa acuta e stretta, forti pinne pettorali. Con una voglia dentro da attirare anche le bavose stanche del mediterraneo.
Ancora a ritroso, come il viaggio in una macchina del tempo, vestire i panni in una avida spigola del porto di Tunisi, ormeggiata tra la laguna della suggestiva Cartagine e la Goletta dove tra gli scarichi dei liquami pasteggia con inconsapevoli e grassi topi di fogna. Non in compagnia, nel senso che se li mangia.
Sempre indietro nel tempo, venti anni prima,  il corpo sinuoso, elegante, di  un cavalluccio marino, poi una patella, ed ancora un salmone scorfanato.
Il salmone scorfanato non lo conosce nessuno. L’ho mangiato solo io, diverse volte,  alla mensa di lavoro. E’ una bella fetta di salmone rosa pallido, un pò malaticcio, uguale agli altri salmoni. L’unica differenza è la presenza di spine dentro le carni. Un crocevia tra uno scorfano ed un salmone abbracciati una sera di fine agosto, come accoppiare un riccio di mare ed una cozza.
Comunque tornando alla nostra ipnosi culinaria, dopo aver vagato per epoche remote, tra i pirati di Kuala Lampur e i vascelli di sua maestà la regina di Inghilterra, lungo le rotte di Magellano, tra le carte dei navigatori Portoghesi, le famose route, e le vie marine di James Cook, finalmente il nostro muggine rievoca la vita in cui era una cernia del mediterraneo. Ed allora senza indugi ne sentimentalismi, che il grande chef con due colpi secchi taglia la testa al pesce. Tzac.. tzac!

Quasi sei chili, dalla carne profumata, con due fili di alghe tra le branchie. Una cernia femmina, giovane, prima che cambi sesso. Solitamente la cernia quando raggiunge i sette- otto chili di peso diventa maschio. Come diceva l’etnologo Rugosky, morto precocemente di cirrosi epatica dinnanzi ad una cernia cotta al forno:
- una meraviglia per l’occhio una rarità del palato!

 

Mauro Loi

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L’aceto e la peste
Nel Trecento la peste invade  l’Europa uccidendo un individuo su tre, e fino al 1700 non c’è anno in cui, non si accenda un focolaio di questo tipo di epidemia. Nella profilassi verso i primi del '700 si ripone fiducua nel rimedio attraverso l'aceto. Nel 1720, anno dell’ultima grande epidemia dell’Europa occidentale, gli abitanti di Marsiglia si difendono dall’aria che “genera febbri” tenendo in mano una spugna imbevuta d’aceto che viene inalata di continuo e, da parte dei medici, “attaccata al naso” senza respirare mai con la bocca e senza inghiottire saliva. Insieme ai  dottori segue  un infermiere che porta una bacinella  di aceto dove il medico ripetutamente immerge le mani prima di toccare  il malato.A mo' di acquasantiera. Poi, quando la peste rallenta, si fa  l'genizzazione dei locali pulendo con aceto i muri delle case infette.

Cantina

Cheyenne: Jane, ti posso chiedere una cosa? Perché hai fatto scrivere 'cuisine' all'ingresso della nostra cucina? Lo sappiamo benissimo che c'è la cucina, lì. 

il cuciniere

 

non conosco
la mia vita e le mie creazioni
tutto quello che mi è dato sapere
è che il mio passato mi viene dietro
come il cameriere attaccato
a fumanti piatti di portata
quanto alle mie creazioni
non è che ne sappia molto di più della loro fine
restano solo tegami da pulire
lana d'acciaio e sapone per piatti
d'altronde è quello che mi merito


 

 

 

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